L’emergenza coronavirus può costituire un punto di rottura per la Cina come centro manifatturiero globale
2020-03-03

Il nuovo coronavirus Covid-19 potrebbe finire per intaccare seriamente il ruolo, ormai trentennale, della Cina quale leader manifatturiero globale.  

L’impatto dell’epidemia di coronavirus sull’economia cinese è ben più serio di quanto attualmente riconosciuto dai mercati. Wall Street sembra essere stata l’ultima a rendersene conto la scorsa settimana. Del resto, lo S&P 500 è sceso di oltre 8 punti percentuali, confermandolo come il peggior mercato in termini di performance tra tutte le grandi nazioni coinvolte dall’emergenza. Anche l'Italia, che ora registra più di mille casi, ha registrato performance migliori la scorsa settimana rispetto agli Stati Uniti.

Il 23 gennaio, Pechino ha ordinato il prolungamento delle vacanze del Capodanno lunare, rinviando la ripresa delle attività lavorative. Il coronavirus si stava diffondendo rapidamente nella Provincia epicentrica di Hubei e la Cina era fortemente determinata a impedire che ciò si ripetesse altrove. Le limitazioni agli spostamenti e la quarantena imposta su una popolazione di circa 60 milioni di persone hanno di fatto paralizzato le attività commerciali.

L'aspetto più preoccupante di questa crisi non è il danno economico che sta producendo a breve termine, ma la potenziale perturbazione a lungo termine per le catene di fornitura.

I settori maggiormente interessati da tale paralisi sono quello della produzione di autoveicoli e gli impianti chimici. I lavoratori nel settore dell’IT, nella maggior parte dei casi, non sono rientrati in azienda la scorsa settimana. Le società di spedizione e logistica hanno riportato tassi di chiusura più elevati rispetto alla media nazionale. Ci si aspetta che gli effetti di questa grave perturbazione si ripercuotano sulle catene di fornitura globali dei ricambi auto, nonché nei settori dell’elettronica e farmaceutica per i mesi a venire.

La Cina stava già perdendo la propria abilità nel proporsi come unico player per la produzione di qualsivoglia tipologia di prodotto, ma tale processo si muoveva a “passo di panda”, sostanzialmente perché le società stavano semplicemente facendo ciò che sempre fanno – ossia ricercare i luoghi con i più bassi costi possibili di produzione. Probabilmente ciò stava a significare costi di manodopera inferiori. Ovvero normative per altri versi più favorevoli. Ma lo stavano già facendo nel momento in cui la Cina ha cominciato a progredire in termini di salari e normative ambientali.  

Sotto la guida del Presidente Trump, quel panda che si muoveva lentamente ha accelerato il passo.  Alle società non piaceva l’incertezza dei dazi commerciali. Hanno cominciato a rifornirsi altrove. I loro partner cinesi hanno cominciato a trasferirsi in Vietnam, Bangladesh e in tutto il sud-est asiatico.

Arrivato il misterioso coronavirus, che si credeva provenisse da una specie di pipistrello di Wuhan, anche coloro che attendevano la fine del mandato di Trump si vedono ora costretti a riconsiderare la propria dipendenza decennale dalla Cina. 

Le farmacie al dettaglio in alcune parti d'Europa hanno riferito che non hanno potuto ottenere maschere chirurgiche perché sono tutte prodotte in Cina. Ma non potrebbero essere prodotte dai Paesi Esteuropei? Sembrerebbe che i loro costi di manodopera siano anche inferiori rispetto a quelli cinesi, e sono anche geograficamente più vicini.

Il coronavirus potrebbe benissimo rappresentare il canto del cigno della Cina. È ormai evidente che non può più essere considerato come un produttore globale a basso costo. Quei giorni stanno per finire. Se Trump verrà rieletto, tale circostanza finirà solo per velocizzare questo processo, perché le società cominceranno a temere le conseguenze dell’eventuale fallimento della seconda fase dell’accordo commerciale.

Scegliere un nuovo Paese, o più Paesi, non è facile. Nessun Paese ha la stessa organizzazione logistica della Cina. Solo alcuni grandi Stati hanno le aliquote fiscali della Cina. Il Brasile sicuramente non le ha. L’India sì. Ma ha una logistica terribile.

Per finire con una nota positiva, sì, la Cina potrebbe perdere il primato come principale (o in alcuni casi esclusivo) fornitore mondiale. Tuttavia, ciò vale a confermare la maturità che l’economia cinese ha raggiunto.  Solo un Paese in via di sviluppo può offrire una catena di fornitura a basso costo e dei costi di manodopera contenuti. Man mano che la Cina rafforza la sua importanza nel settore dei servizi, il Paese del Dragone si conferma come un Paese pienamente sviluppato, con i relativi problemi, ma anche con i conseguenti benefici.

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